martedì 20 novembre 2007

Questioni di squisita ontologia...

Caro Leonardo,
questa volta tocca bacchettarti un po’ pure a me. Nonostante le parole finali del tuo post sembrino copiate da “Dire la verità”, lo sembrano solo. “Dalla parte della radice”, citando Baudelaire, stai facendo proprio quello da cui Ruggenini tenta di distogliere i suoi allievi, ovvero la riduzione del linguaggio e della logica a strumento a disposizione dell’uomo. Si sente, nel termine che hai usato: “procedurale”, che richiama più un’etica intersoggettivistica del linguaggio (con tutte le pecche che questo comporta) che un’etica della parola ruggeninianamente (che bell’aggettivo) intesa. E tu che hai preso 30 in entrambi i moduli di teoretica, dovresti saperlo… :) Ora, tralasciamo una parentesi, che sarebbe da aprire, su cosa si intenda per poeticità e allusività del dire filosofico. Sappi solo che se per questo intendi una metaforicità intrinseca (come non mancava di sottolineare Nietzsce, ad esempio), allora posso anche essere d’accordo. Ma se per questo intendi quello che noi, “prescientificamente”, ovvero prima di qualsiasi seria teoria della creazione poetica, tendiamo a chiamare poesia, cioè l’accorata composizione in versi nelle rime e metriche più disparate, foriere di un senso più profondo di quello che lo stesso intelletto umano può arrivare a capire e quasi imperscrutabile… insomma, la concezione “romantica” della poesia (romantica è in minuscolo, come categoria “dello spirito” piuttosto che “della storia”) come un tutto vitale, di cui resta sempre un fondo oscuro di datità che sfugge ad ogni ratio, allora si dovrebbe aprire un’ulteriore discussione, che mi troverebbe d’accordo solo fino ad un certo punto. Tuttavia anche questa discussione non sarebbe del tutto fuori luogo: non è altro, infatti, che un altro modo per volgere la questione se la filosofia sia una scienza o un’arte, anche se hai forse messo lì con noncuranza questa frase (o forse no?). E anche qui, come nel resto del tuo discorso, occorre una definizione preliminare (di cosa intendiamo per scienza e per arte). [Postilla. Chiedo scusa, ma questo commento, a causa della lunghezza visibile, sta prendendo forma in diverse giornate, e non è quindi scritto di getto. Ho avuto modo di parlare brevemente con Leo di questo punto. Non rimuovo le considerazioni fatte finora. Ma capisco il punto di vista di Leonardo anche se gli consiglierei, secondo quello che mi è parso di capire della sua posizione, che il termine più giusto da usare in questo caso, secondo la scorta di Galimberti che il mio ottimo amico ha citato a sostegno del background su cui si impiantano le sue osservazioni, non sia tanto “procedurale” (che tanto il già citato Ruggenini come Galimberti parimenti aborrirebbero); piuttosto, consiglierei l’espressione: il linguaggio “evoca” e “provoca”, con i significati, densi e non hic et nunc analizzabili, di “e-vocare” e “pro-vocare”. Al singolo l’ardua comprensione.]
In cosa, è il punto cruciale, si distinguono la “Cultura” e la “cultura”? Concordo con lord Russell, anche se da un punto di vista più ermeneutico e meno logico (e quindi su tutt’altre basi filosofiche dalle quali andrà interpretata l’affermazione che seguirà), che mettere la conclusione all’inizio del discorso non sia un errore. Il tuo errore, semmai, è di esserti contraddetto senza accorgertene. Come puoi, infatti, distinguere una cultura con la C maiuscola e una con la c minuscola, quando poche righe più sotto scrivi che non c’è nulla di male se non hai specificato cosa sia la cultura, tanto è un concetto che si deve via via definire? In questo modo muovi già dal presupposto che, via negationis, Cultura e cultura siano differenti. Quindi, a tuo modo, stai già indirizzando l’interlocutore. Guarda, ci dici, c’è una Cultura astratta che non si sa bene cosa sia, e poi una cultura più concreta, che però anche questa non si sa bene cosa sia. Lo scopriremo solo vivendo. Comunque adesso ho un po’ paura, ora che quest’avventura sta diventando una storia vera. Spero tanto tu sia sincera. E chiudo con Battisti. Se effettivamente volessi muoverti secondo il tuo criterio di “prudenza metodologica”, non azzarderei nemmeno una distinzione tra una Cultura che mi puzza tanto da conceptus nel senso un po’ platonico del termine, e una cultura che pare più la raccolta dei documenti di una data civiltà in un dato periodo di tempo. [Senza contare, che ci sarebbe da aprire anche una parentesi sull’uso del termine “presente”, e di cosa significhi di conseguenza “cultura del presente”. Marc Bloch diceva, nella sua Apologia della storia, che gli storici contemporanei hanno la strana idea di chiamare “presente” un pezzo isolato di tempo, abbastanza vicino a noi nel senso di passato prossimo, ma abbastanza definito da un certo “indice di contemporaneità” che lo fa sembrare come un blocco a se stante rispetto al resto del tempo, come se la storia (è un paragone mio e non di Bloch) fosse composta da grandi zolle tettoniche che si scontrano tra loro. Ma in questo modo ragionano prevalentemente appunto gli storici contemporanei, che a buona (???) ragione ritengono il distacco tra il presente postbellico (nel senso dei conflitti mondiali) e quello prebellico talmente netto da poter operare il suddetto isolamento. Ma, da buon dilettante (di più non oso…) dell’ermeneutica, cosa sarebbe il nostro presente senza il nostro passato? Come possiamo essere quelli che siamo senza quello (e quelli) che siamo stati? Quindi, preferirei l’uso del termine “contemporaneo”, anche se non cambia un granché ai fini della nostra discussione. Pura e semplice “prudenza metodologica”.]
L’invito a “dire qualcosa” piuttosto che cercare la determinazione ontologica del significato, che per Ruggenini è l’invito di Metafisica gamma, è un invito che non posso che accogliere. Tuttavia, questo invito non si svolge a tavolino (sempre il fantasma del linguaggio a nostra disposizione!), ma durante la discussione, come giustamente tu hai accennato. Solo che non hai poi colto i frutti del tuo stesso suggerimento. Quando parli di Cultura e cultura mostri tuo malgrado di avere almeno una pallida idea di cosa l’una e l’altra siano e non siano (almeno nel senso che l’una non è l’altra e viceversa). Ma, forse, per intendersi al meglio è necessario appunto che ci si incontri (o scontri, ma anche lo scontro presuppone un comune terreno di battaglia) sul significato dei termini che usiamo nella discussione. Che ci siano una Cultura e una cultura resta una tesi ancora da dimostrare o inficiare (nel senso che devono essere portati argomenti a favore o contro). Che il significato di questi termini si chiarisca progressivamente nel corso della discussione, anche questo mi trova perfettamente d’accordo. Mi trova d’accordo pure che il luogo di definizione di questi concetti siano queste discussioni. Ma tu, come già visto, mostri di avere un concetto, se non proprio preciso, comunque sufficientemente saldo dei termini. Quindi, per maggiore comprensione, avresti dovuto spiegare cosa intendi per cultura.
Vale, in finale, il punto che più ti preme (non ti conoscessi!) del tuo intervento. “Forse la filosofia dovrebbe smettere di pensarsi come ragione ordinatrice”. E speravi, come hai ottenuto (furbacchione!) un nugolo di vespe in questa frase messa così per inciso, quasi a corredo delle osservazioni precedenti, ma non per questo centrale nel tuo discorso – invece noi, lavorando come il buon Heidegger negli incisi dei discorsi, non ci siamo sottratti a questa provocazione. Forse, la scienza dovrebbe smettere di pensarsi come ragione ordinatrice. La filosofia, perlomeno, pare che da tempo abbia se non rinunciato alla pretesa di pensarsi come ragione ordinatrice del tutto (mi riferisco alla crisi del sistema hegeliano, in primis), almeno preso in carico l’esame critico di questa pretesa. E questo, in fondo, come mi pare di aver capito, è anche uno dei sensi del nuovo logo di Metaclub (grazie Giulia, grazie Alessandro): la nottola di Minerva, il simbolo hegeliano della pretesa filosofica di pensarsi come il compimento e il sapere assoluto, e la mosca del §309 delle Ricerche Filosofiche di Wittgenstein. Due modelli di filosofia diversi che ancora animano il dibattito, mai concluso per fortuna (un segno? un indizio?), sul ruolo della filosofia, e sul ruolo che la filosofia stessa concepisce per se stessa. Che la filosofia sia destinataria del senso del reale, che possieda il logos del reale, nel senso della sua ragione ordinatrice, nel senso della normatività del reale, secondo il significato più carico che a questa espressione riesco a dare (e qui il problema si trasforma in ontologia squisita… era forse questo, il tuo obiettivo, che non è stato compreso?), è un problema che non è nuovo alla filosofia. Forse, è nuovo per molti filosofi. Ma, in fondo, la filosofia è nata come logos, come discorso del reale. Discorso che pretende anche, certamente, di esserne la ragione ordinatrice, di spiegarne l’essenza, di darne una definizione esauriente. E che, nonostante le varie crisi e scismi disciplinari, non ha forse mai perduto. Tuttavia, la crisi del sistema hegeliano e soprattutto le lezioni che ci vengono dallo storicismo tedesco alla svolta linguistica, ci hanno insegnato due cose che appaiono identiche, ma che non credo lo siano: da una parte, che è impossibile dare un fondamento (leggi: ragione ordinatrice) del tutto; dall’altro, che il tutto di cui vogliamo dare il fondamento è un tutto che non è definito in sé e per sé, ma è un tutto che in qualche modo è un concetto fluido. Mi spiego meglio. Il tutto in cui noi ci troviamo a vivere, e del cui senso ci domandiamo (non ritengo, infatti, che non si possa dare un senso al tutto, ma questo è una posizione che qui non ci interessa), è un tutto che non ha confini; e di qui, mi ricollego a quello che (a prima vista? o proprio di quello parlavi?) sembra il tuo obiettivo polemico, ovvero alla pretesa della filosofia di porsi come detentrice del senso assoluto (leggi ancora: ragione ordinatrice) delle parole – quasi come una “vendetta” per non potersi assicurare una solida presa sul “tutto”, che ormai è un “tutto” con le virgolette. È un tutto che non ha confini perché non è un elenco, una somma di nomi, una lista, un catalogo. Non è esauribile con una enumerazione. È un tutto la cui unità, come diceva Gentile criticando Hegel e l’abuso del principio di non contraddizione in filosofia, non è già prima (non è un dato) ma è sempre in via di determinazione (è sempre un costruito). Il problema, sempre seguendo Gentile (ma su una lunghezza d’onda simile anche Heidegger), è che la filosofia ha sempre descritto un divenire dipinto, ovvero non ha fatto altro che raccontare una storia che già tutti sapevamo, poiché mirava ad una determinazione che già c’era. È la ricerca dell’archè. La storia della filosofia ce lo dice chiaro e tondo. La filosofia (intesa, à la Heidegger, come metafisica) ha sempre dato per scontata una determinazione del mondo a priori, che si tratta “solo” di ricercare e rendere nota. Ma il mondo non è una determinazione a priori, come il parlare in termini di non contraddizione potrebbe farci pensare. Il mondo vive perché si determina. Ed è un’unità ben strana, che non si capisce in cosa possa essere identica a se stessa, a questo punto. Ma qui, la mia riflessione si interrompe. Avrò secoli (spero per me!) ancora da studiare per cercare di raffinare questi pensieri.
Per cui, forse la filosofia non può smettere di pensarsi come ragione ordinatrice, essendo questa la sua vocazione, ciò per cui è nata, ciò per cui letteralmente è chiamata. Piuttosto, nei confronti dell’ontologia come del suo rapporto con le parole, saggio sarebbe chiederci qual è questo “tutto” di cui la filosofia vorrebbe dare il senso complessivo. E distinguere magari (provoco volutamente) un Tutto da un tutto.
Una cosa è certa: la filosofia non può smettere di pensarsi.

23 commenti:

G.P ha detto...

Caro Luca, sono d’accordo con te su quasi tutto.
Faccio qualche osservazione sulla questione della filosofia come “ragione ordinatrice”(a proposito: qualcuno usa questa espressione precisa o è opera di Leonardo?)
Alla fine del tuo post accenni all’importanza della domanda metafilosofica che condivido pienamente ( ci chiamiamo metaclub per qualcosa,no?). Non potrei sentirmi più distante da quest’affermazione di Popper: “Ritengo che un filosofo dovrebbe innanzitutto filosofare: dovrebbe, cioè, cercare di risolvere problemi filosofici, piuttosto che parlare della filosofia”. Detto questo mi pare che la posizione che tu sostieni possa essere simile a quella proposta da Habermas nel l’Etica del discorso: la filosofia deve rinunciare al ruolo di giudice supremo, di regina scientiarum,di assegnatrice di posto rispetto alle scienze particolari. Ma non per questo deve rinunciare al suo compito di “custode della razionalità” come vorrebbe invece Rorty ( secondo Habermas). Il titolo del saggio di Habermas contenuto nell’Etica del discorso è La funzione vicaria e interpretativa della filosofia.
Vicaria nel senso di sostituto provvisorio delle teorie empiriche e interpretativa nel senso di interprete del mondo della vita: in breve una divisione non esclusiva del lavoro con le scienze umane.
Habermas pensa che la filosofia possa conservare quel riferimento alla totalità di cui si parlava e lo può fare proprio assumendo il ruolo di interprete rivolto al mondo della vita.
Ti consiglio di leggere quel saggio, è breve ma ricchissimo di spunti di ogni genere e la posizione metafilosofica di Habermas è senza dubbio interessante.
Avevo detto che ero d’accordo su quasi tutto…Ecco quello che non mi convince completamente è la tua affermazione che la filosofia non può smettere di pensarsi come ragione ordinatrice…io penso che probabilmente possa e anzi debba smettere di farlo..anche qui però bisogna intendersi: è chiaro che se minimalizzi il significato di “ragione ordinatrice” allora potrei anche essere d’accordo che possa mantenere in parte il suo ruolo tradizionale( anche qui è giusto definirlo “tradizionale”? ma lascio questa questione a un altro post o commento).
G.P

Il Bozz ha detto...

Cara Giulia,
il perchè la filosofia non può non pensarsi come ragione ordinatrice credo di averlo spiegato nell'ultima parte del post. Non può perchè è nata così, ed è questo quello che fa la sua differenza rispetto alle altre interrogazioni del reale, come quelle scientifiche ad esempio. Se esse mirano a dare al reale un ordine che è quello delle loro teorie, la filosofia ha a mio avviso una duplice soluzione. O continuare, come la metafisica secondo Heidegger, a fare come le scienze (ossia, come appena detto, a imporre al reale un ordine teorico e logico), oppure può pensarsi come inventrice di un ordine. Ma inventrice non nel senso che dal nulla lo crea e lo applica alla realtà (come il modello scientifico), ma che lo scopre (dal latino "invenio") nella realtà stessa. Ma quindi, oltre alla ridefinizione (e non "minimizzazione") di cosa significa per la filosofia essere "ragione ordinatrice", bisogna che di pari passo si proceda alla ridefinizione di cosa sia, per la filosofia, quel "reale" che la filosofia vuole "ordinare".

Il Bozz ha detto...

PS: ho apprezzato la distanza dall'affermazione di Popper. COsa significa, per un filosofo, risolvere problemi filosofici senza parlare della filosofia?

metaclub ha detto...

Dici che la filosofia non può non pensarsi come ragione ordinatrice perchè è nata così...Non penso sia una buona motivazione; la filosofia allora, come dice Ruggenini, ha sempre avuto un legame con la religione. ma questo non vuol dire, seconde me, che debba continuare ad averlo. Lo stesso discorso vale per un'infinità di cose.
Ora non ho molto tempo per sviluppare bene queste riflessioni..lo farò presto!

Il Bozz ha detto...

Boh, penso che sia come dire che non ha senso dire che la cioccolata deve continuare ad essere buona perchè è nata così. Io non ho detto questo. Ho detto che, se vogliamo usare una terminologia che ritengo impropria (ma la uso solo per dare una lontana idea di quel che intendo), il rapporto della filosofia col suo essere ragione ordinatrice è inscritto nella sua "essenza". É un po' quello che intendevo quando dicevo che l'essere ragione ordinatrice è ciò che segna la differenza specifica della filosofia rispetto ad altre forme di sapere. Precisamente, la filosofia è ragione ordinatrice. La riflessione filosofica è nata come ragione ordinatrice, e il suo essere ragione ordaintrice le appartiene. Altrimenti, sarebbe altro e non filosofia. Quello che sto dicendo, insomma, è che non si può, come invece stai facendo tu, pensare che l'essere ragione ordinatrice pertenga in modo accidentale alla filosofia. Come se la filosofia potesse sbarazzarsi del suo considerarsi ragione ordinatrice e rimanere comunque filosofia. Piuttosto, il fatto di pensarsi, e di essere, ragione ordinatrice, le pertiene in modo essenziale. Non si dà filosofia senza il suo essere e pensarsi come ragione ordinatrice. Piuttosto, ed è su questo che metterei ed anzi metto l'accento, possiamo discutere quanto vuoi (è questo che ho fatto nel post e nel commento precedente) su cosa si debba intendere per "ragione ordinatrice", "ordine", "tutto" che quest'ordine dovrebbe "ordinare". In merito alla citazione di Ruggenini, ti direi che mi trova perfettamente d'accordo ed è perfettamente coerente. Lasciamo da parte, anche se non si dovrebbe, il fatto che oggi la maggior parte dei filosofi vivano di una sostanziale ignoranza della nostra religione, peggio ancora della religione in generale. Lasciamo perdere, anche se non si doverbbe, che oggi coloro che parlano di religione sembrano quasi costretti ad una abiura della propria fede, a nascondere di credere (mentre invece per secoli chi si doveva nascondere erano i non credenti; con questo non sostengo che fosse giusto prima, ma che gli eccessi fanno male da una parte e dall'altra). Piuttosto, colgo l'occasione per ribadire quello che tu citi di Ruggenini: la filosofia DEVE continuare ad avere rapporti con la religione. Una delle poche cose che apprezzo di Galimberti è che ci tiene sempre a far notare che, se la filosofia deve superare la religione, è necessario che la conosca. Che poi il dialogo porti ad un abbandono di una delle due sponde, questo non sarò io a stabilirlo, anche se personalmente non lo credo (non credo punto in una possibile fine del dialogo, ma piuttosto in una specie di "dialogo eterno"). La filsofofia è nata in rapporto con la religione, ed anche questo rapporto, come il suo pensarsi ragione ordinatrice, non è semplicemente accidentale. Che ti piaccia o no, la filosofia oggi è quello che è perchè c'è stata e continua ad esserci la religione. Mi sembra quindi una posizione poco seria quella di un ateismo tout-court che si basa più su una presa di posizione che su un confronto ragionato con la religione. Nè mi sembra serio sostenere che la filosofia non debba continuare ad avere rapporti con la religione, come viceversa la religione con la filosofia. Una presa di distanza filosofica, e non una semplice posizione di distacco dovuto ad un rifiuto così, senza motivazioni valide (e il disinteresse del singolo verso la religione, così come l'incoerenza delle persone fisiche che operano nella gerarchia ecclesiastica nei confronti del loro proprio Credo, non sono motivazioni valide, almeno per noi filosofi), deve scaturire da un confronto di posizioni. E un confrotno implica un dialogo. E un dialogo implica una conoscenza del dialogante. E uno scontro, per quanto aspro che sia, implica un terreno comune su cui si gioca la battaglia. Ergo, un distacco dalla religione presuppone un terreno comune con essa, un dialogo.
In più, mi si consenta una piccola stoccata finale: se la filosofia fosse in grado di chiudere definitivamente con la religione, decidendo per essa che non può essere valida a spiegare il senso del tutto (che mi pare sia la tua posizione implicita), non pretenderebbe seppure in modo negativo, di dire qualcosa sul tutto, e quindi di ordinarlo?!? Se infatti dice che la religione non è in grado di essere la norma del tutto, allora significa che una certa idea di norma del mondo ce l'ha, e bella evidente se è in grado di scartare nettamente un campo del sapere come inadeguato ad esprimerla. E quindi, in un certo modo, si pensa veramente come ragione ordinatrice. [Le conclusioni delle ultime righe sono un po' affrettate, a causa del poco tempo, per cui non vanno intese come l'ortodossia che propugno, ma solo come un confuso e arzigogolato e forse sconnesso spunto di riflessione. Per il resto mi assumo piena responsabilità :)]

metaclub ha detto...

Non condivido una sola parola di quello che dici. Adesso però( ancora..) sono di corsa e non ho tempo per risponderti ma a breve arriverà la mia risposta.

Unknown ha detto...

ciao a tutti, premetto che non ho letto tutti i vostri post sull'argomento ma non capisco bene cosa significa quando dite: "la filosofia non puo' pensarsi che come ragione ordinatrice" adducendo che tali sono le sue origini.
Io credo che nella filosofia vi
sia una specificità molto chiara, che distingue il "il discorso filosofico" da un qualsiasi "discorso edificante" (mirate sono a tal proposito le critiche che Habermas fa a Rorty in "Die Philosophie als Platzhalter und Interpret"). Mettere da parte la filosofia come ragione ordinatrice, come epistemologia à la Rorty, non significa allora che la filosofia è indistinguibile da un mero discorso letterario!.
La filosofia infatti si propone di corroborrare le proprie tesi fornendo "buoni argomenti", non dico "ultimi" o "conclusivi" (e un buon argomento e' tale quando i miei interlocutori non riescono, per il momento, a falsificarlo). Quindi, invece di usare la definizione FILOSOFIA come RAGIONE ORDINATRICE, che onestamente sento come troppo forte, proporrei di dire che la filosofia non puo' non pensarsi come RAGIONE ARGOMENTATIVA(dove il termine "ragione" è da intendersi in modo "secolarizzato", noi qui si vuole intendere una ragione passata per la "svolta linguistica"....).
Si capisce che le "prove" portate a sostegno di una tesi filosofica non sono un che di empirico, ma la caratteristica dell'argomentare flosofico sta nel suo procedere formale. Per dirla con Habermas: la filosofia non ci dice qual è il contenuto dell'etica ma ci aiuta a individuare i principi formali che dovrebbero renderci in grado di sviluppare un'etica.
Troppo spesso mi pare che si dimentichi questa cartteristica, a mio parere essenziale e costitutiva della filosofia, questo dovere di fornire ragioni alle tesi proposte che non possono essere semplicemente enunciate (si veda, uno per tutti, come es. di questa mancanza, "Dire la Verità" libro che denota uno scarso livello argomentativo sia per quanto riguarda i giudizi sulla storia della filosofia, sia per quanto riguarda i contenuti delle proprie tesi). Avrei altre cose da aggiungere... ma vorrei sapere intanto che ne pensate?. Un saluto a tutti voi.

l.l. ha detto...

p.s x g.p.:
vedo che anche tu hai citato habermas, ho letto il post solo dopo.
A parte questo scrivi che non puoi essere piu' in disaccordo con Popper qundo afferma: "Ritengo che un filosofo dovrebbe innanzitutto filosofare: dovrebbe, cioè, cercare di risolvere problemi filosofici, piuttosto che parlare della filosofia”. Mi stupisce, data la tua vicinanza al contesto della filosofia anglosassone quest'affermazione.
Scegliere di parlare di filosofia per problemi non è un carattere di distinzione proprio della filosofia analitica?
la filosofia come "problem solving" non è in atto anche in wittgenstein che la vede appunto come "attività chiarificatrice?":
"Il compito della filosofia è di risolvere e dissolvere i problemi filosofici mediante la chiarificazione di ciò che ha senso."
Wittgenstein afferma ciò sulla scia dell'Ideografia di Frege: “Se è compito della filosofia spezzare il dominio della parola sullo spirito
umano svelando gli inganni che, nell’ambito delle relazioni concettuali,traggono origine, spesso quasi inevitabilmente, dall’uso della lingua, e
liberare così il pensiero da quanto di difettoso gli proviene soltanto dalla natura dei mezzi linguistici di espressione, ebbene la mia ideografia, ulteriormente perfezionata a questo scopo, potrà diventare per i filosofi un utile strumento“. Popper inoltre non dice (riporto qui una frase in risposta al post di g.p.) "risolvere problemi filosofici senza parlare della filosofia" bensì dice che si dovrebbe INNANZITUTTO filosofare cioè cercare di risolvere problemi filosofici, il che non significa e non esclude una attività che sia chiarificatrice in senso metafilosofico, cosa che peraltro Popper fa. Ma dopo aver riflettuto sulle condizioni di possibilità della filosofia, sul suo statuto, ruolo e sulla sua legittimità non resta qualcosaltro?
Ritengo tuttavia che questa riflessione metafilosofica sulla filosofia sia indispensabile se non vogliamo che essa "sia ceca", come l'Illuminismo di Horkheimer e Adorno, "illumini tutto fuorchè se stessa". Non credo che Popper con quell'affermazione volesse escludere ciò se si considera il suo lavoro complessivo...

Degiavù ha detto...

Luca,
trovo corretta la concezione secondo cui la filosofia non può fare a meno di porsi come ragione ordinatrice,ma
non ti pare che la distinzione tra scienze che applicano un proprio ordine alla realtà e una filosofia che inventa l'ordine-nel senso da te fornito- sia fasulla?
molti scienziati sono pronti ad affermare che essi leggono il reale come esso vuole esser letto,vale a dire sostengono di scoprirlo nella realtà stessa.
la filosofia(il filosofo) non può andare molto oltre:anch'egli sostiene di inventare/scoprire,ma si deve limitare alla sola affermazione, proprio come la scienza.
la filosofia del resto ha potuto ritenersi ordinatrice delle scienze,anzi giudice, esattamente perchè esse sono modi di ordinare il reale come la filosofia stessa,però questa la si riteneva in possesso di determinate qualità che la rendevano superiore.
oggigiorno la filosofia non gode più del primato sulle scienze non perchè esse siano effettivamente appartenenti a un altro ambito, ma poichè si ritiene che il metodo filosofico di lettura del reale sia in qualche maniera deficitario,inferiore (rispetto a quello scientifico).

vorrei anche approfondire il concetto di "ordine" ma adesso è ora che vada a letto.

chiedo venia per eventuali errori,di forma e sostanza,ma sono stanco e reduce da un allenamento in cui forse ho preso qualche botta in testa di troppo.

Emiliano

Leonardo ha detto...

Sappiate solo che "filosofia come ragione ordinatrice" da oggi è un marchio registrato e ogni volta che lo utilizzerete dovrete pagarmi i diritti.

Il Bozz ha detto...

Emiliano,
ho riletto il mio breve commento, cui ti riferisci, e la distinzione che ho fatto tra filosofia e scienze pare anche a e una cazzata! :) A dire il vero, non so nemmeno perchè io abbia scritto una cosa del genere... tengo fermo, però, quanto ho scritto in finale, circa la ridefinizione dei concetti di ordine, eccetera. Grazie per avermi fatto notare la svista grossolana! Uno dei problemi che, a mio avviso, dobbiamo tenere di gran conto (e con questo, vorrei anche rispondere collateralmente anche a l.l.), è che abbiamo bisogno di una coscienza "storica" di vasta portata per intendere appieno la trasformazione della filosofia, soprattutto il suo rapporto con le scienze. Alle sue orgini si distinguevano filosofia e medicina, oggi pare ci sia una corsa ad affrancarsi da una denominazione, "filosofica", che molti ambiti del sapere ritengono proprio squalificante (quello che sicuramente sai anche tu, quando dici che le scienze ritengono l'approccio filosofico al mondo deficitario). Un passo importante per comprendere dove siamo è anche una minima comprensione dei cambiamenti che ci sono stati, e che hanno portato la filosofia, al giorno d'oggi, quasi ad indentificarsi con 3 sole opzioni: l'ontologia, l'etica, la metafilosofia. Ed è chiaro che le scienze trovino deficitaria la filosofia, mentre in Grecia ontologia e fisica avevano tutto un altro peso. Anche l'etica, in una società come quella odierna che punta più sul relativismo che sul pluralismo dei valori (Emiliano, tu sei un esperto ormai in questo campo, dimmi se sbaglio), puzza al contemporaneo molto di ontologia e di illibertà, o comunque di lontananza dal reale. Non è un caso che vadano per la maggiore le etiche dell'intersoggettività e della responsabilità, che trovo deficitarie in maniera impressionante. La metafilosofia, invece, è un luogo che nessuno (o pochi) pare contestare alla filosofia. Che si arrovellino pure su se stessi, non faranno che parlare di parlare, si potrebbe obiettare. (Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi, come crinale tra filosofia e scienze, del pensiero che questi ambiti del sapere hanno di se stessi? Possiamo dire che la filosofia si interroga su se stessa facendo filosofia, ma la scienza si interroga su se stessa facendo scienza? E altri interrogativi simili. Non sono una posizione, magari un acccenno di una discussione della quale mi piacerebbe avere un tuo parere. Magari, un tuo post autonmo!). Le mie domande sono: è giusta l'identificazione della filosofia con questi soli termini? A me dà tanto l'idea di un corpo in decomposizione, che perde brandelli per strada col passare del tempo. Magari, è proprio questo la filosofia. Ma la domanda ulteriore è: è questa la filosofia che avete in mente, quando attaccate (ovviamente non tu, Emiliano) la filosofia come ragione ordinatrice (quanto sono i diritti d'autore, Leo? ricordati che ne voglio una percentuale per la pubblicità!)? Una filosofia che si riduce, nel peggiore dei casi, a sola metafilosofia? Ma alla filosofia non è dato, secondo voi, altro destino che pensare a se stessa? Mi pare che ci sia da riflettere, su questo punto...Trovo aberrante l'affermazione che: "Per dirla con Habermas: la filosofia non ci dice qual è il contenuto dell'etica ma ci aiuta a individuare i principi formali che dovrebbero renderci in grado di sviluppare un'etica". Di cosa parla allora la filosofia? Del nulla? O di se stessa sola, come il Dio aristotelico pensava solo a se stesso? É questa l'idea della filosofia che avete in testa? Non mi stupisco se non la condivido punto. "Ma dopo aver riflettuto sulle condizioni di possibilità della filosofia, sul suo statuto, ruolo e sulla sua legittimità non resta qualcosaltro?": non è forse che prima viene il filosofare, e poi la questione della legittimità del filosofare? Non è forse che prima viene l'etica, e poi le riflessioni sulla legittimità di quest'etica stessa? (Ma, Wittgenstein credo lo abbia scritto da qualche parte, la giustificazione della norma è sempre problematica...). Sono cose su cui vale la pena di discutere insieme.
Inoltre, concludendo, avevo scritto un commento lunghissimo in risposta a l.l., ma non ho tempo nè voglia di rileggerlo per poi pubblicarlo. Me ne scuso, ma era veramente enorme. Sappia, come anticipo, che non mi è piaciuta per niente la riduzione della filosofia a mera (senza virgolette) ragione argomentativa. Ma questo si capisce anche dal commento che queste frasi stanno concludendo. Pur tuttavia, il commento contiene degli elementi preziosi che non ho mancato di sottlineare. A presto!

metaclub ha detto...

Cara l.l (è fin troppo chiaro chi sei) tu parli della mia “vicinanza al contesto della filosofia anglosassone”; il fatto che mi senta più vicina a un certo modo di concepire la filosofia non significa che ne condivida qualsiasi posizione; in particolare non ho mai sostenuto l'idea della filosofia come problem solving e ho sempre pensato che le questioni metafilosofiche siano le più interessanti.
Non a caso i filosofi con cui mi sento più in sintonia sono quelli che non sono propriamente né analitici né continentali, da Wittgenstein a Rorty, e per i quali la riflessione su che cos'è la filosofia è sempre stata centrale.
Due brevi osservazioni su Wittgenstein e Popper.
Quanto al primo penso non ci sia cosa più sbagliata che dire che concepisce la filosofia come problem solving; la filosofia deve dissolvere e non risolvere i problemi filosofici cosa che invece fanno oggi gran parte dei filosofi analitici)
Che poi W. Pensi alla filosofia come a un insieme di problemi questo è un altro discorso su cui si può discutere.
Quanto a Popper, certo anche lui avrà qualche idea in merito a che cos'è la filosofia, ma è sempre stata una costante del suo pensiero quella di ritenere che le dispute sul significato delle parole fossero una perdita di tempo e che bisognasse concentrarsi sui problemi reali e non su quelli verbali (testuali parole); ora è chiaro che riflettere sulla filosofia non era per Popper un problema reale di quelli che la filosofia dovrebbe risolvere.

metaclub ha detto...

Cara l.l (è fin troppo chiaro chi sei) tu parli della mia “vicinanza al contesto della filosofia anglosassone”; il fatto che mi senta più vicina a un certo modo di concepire la filosofia non significa che ne condivida qualsiasi posizione; in particolare non ho mai sostenuto l'idea della filosofia come problem solving e ho sempre pensato che le questioni metafilosofiche siano le più interessanti.
Non a caso i filosofi con cui mi sento più in sintonia sono quelli che non sono propriamente né analitici né continentali, da Wittgenstein a Rorty, e per i quali la riflessione su che cos'è la filosofia è sempre stata centrale.
Due brevi osservazioni su Wittgenstein e Popper.
Quanto al primo penso non ci sia cosa più sbagliata che dire che concepisce la filosofia come problem solving; la filosofia deve dissolvere e non risolvere i problemi filosofici cosa che invece fanno oggi gran parte dei filosofi analitici)
Che poi W. Pensi alla filosofia come a un insieme di problemi questo è un altro discorso su cui si può discutere.
Quanto a Popper, certo anche lui avrà qualche idea in merito a che cos'è la filosofia, ma è sempre stata una costante del suo pensiero quella di ritenere che le dispute sul significato delle parole fossero una perdita di tempo e che bisognasse concentrarsi sui problemi reali e non su quelli verbali (testuali parole); ora è chiaro che riflettere sulla filosofia non era per Popper un problema reale di quelli che la filosofia dovrebbe risolvere.

metaclub ha detto...

A tutti: sono sempre più dell'idea che questo blog serva solo a litigare! meglio parlare delle cose a voce!

l.l. ha detto...

caro metaclub io non volevo litigare e nemmeno ridurre al filosofia a ragione argomentativa (ma quella e' la sua caratteristica piuttosoto che ordinatrice: Sinngebung??).
la filosofia è innanzitutto storia della filosofia....non ci si puo' occupare di alcune questione senza farne la storia:)) sono in ritardo...c'e' la conferenza su Metafisica E..a tuttti ciao ( e cono simpatia:))

Degiavù ha detto...

sottoscrivo completamente le domande che luca rivolge a giulia e l.l.,e rilancio:
la prospettiva limitante in cui si vuole -e si riesce- ad inscrivere la riflessione filosofica oggigiorno è irritante,e quando si afferma che la filosofia dovrebbe torcersi su se stessa e in un atto di onanismo* intellettuale ripensare i problemi in maniera solipsistica,definendo il suo ambito in maniera precisa,rinunciando però all'ordine sulla realtà,non si fa altro che metterla in competizione con le scienze -e non può che uscirne perdente:così pensata non ha basi,è ridotta a pura maschera (cerebrum non habet!) del pensiero,di se stessa-.
non che le scienze si comportino in maniera diversa:anch'esse sviluppano sistemi che solo in un secondo momento applicano,però esse hanno riscontri che la filosofia non ha(se non come psicologia,dubbi).
cosa deve fare la filosofia dunque?la filosofia deve creare filosofi,non intesi come persone che studiano la storia del pensiero-non solo almeno- e che passano la vita su problemi che non avrebbero mai scovato perchè non li sentono propri,ma filosofi che studiano veri problemi,cioè problemi che intralciano la loro vita;ciò che voglio affermare (forse non sono il primo,non lo so,forse è già stato tutto confutato)é la creazione di una filosofia senza dubbio più schizofrenica,meno coordinata,che si ripeta(già lo fa),alle volte assurda,ma che nasca genuina là dove ce n'è l'esigenza(e quindi dove ogni singolo filosofo ne sente il bisogno),con il fine di spazzare via tutte quelle sovrastrutture (su cui prosperano -e si perdono- molti filosofi contemporanei)senza per forza partire dal linguaggio.


*courtesy of Leonardo Ebner ASSociation

metaclub ha detto...

Basta con queste espressioni in tedesco!(by la redazione).
Per il resto era una battuta, ma è vero che il blog non è un buon sistema per discutere...
P.s metaclub e g.p sono le stesse persone ma non sempre

l.l. ha detto...

xg.p. hai ragione problem solving non si addice a wittgenstein ma ad altri settori della fil.analitica.
è fin troppo chiaro chi sono, si ma non volevo nascondermi. solo che vedo che vanno le lettere puntate e mi adeguo! tUTTAVIA condividi il pensiero di wittg. sulla filofia? il concetto di attività terapeutica e di chiarificare attraverso il linguaggio molte false questioni che hanno puntellato,come un male da estirpare, la storia della filosofia? mi interssa il tuo parere!!!

xboz: aspetto un post con critiche mirate (e giustificate) per rispondere. non amo la vaghezza e preferisco la saggia concisione alla stolta loquacità!

l.l. ha detto...

xg.p. non ci ho pensato molto ma facendo delle cose su wittgenstein ultimamente mi sono venute in mente qste prop...

Tractatus, proposizione 6.53 IL METODO CORRETTO DELLA FILOSOFIA SAREBBE PROPRIAMENTE
QUESTO: NULLA DIRE SE NON CIO’ CHE PUO’ DIRSI; DUNQUE, PROPOSIZIONI DELLA SCIENZA NATURALE – DUNQUE, QUALCOSA CHE CON LA FILOSOFIA NON HA NULLA A CHE FARE -, E POI, OGNI VOLTA CHE UN ALTRO VOGLIA DIRE QUALCOSA DI METAFISICO, MOSTRAGLI CHE, A CERTI SEGNI NELLE SUE PROPOSIZIONI, EGLI NON HA DATA SIGNIFICATO ALCUNO. QUESTO METODO SAREBBE INSODDISFACENTE PER L’ALTRO – EGLI NON AVREBBE LA SENSAZIONE CHE NOI GLI INSEGNAMO FILOSOFIA -. EPPURE ESSO SAREBBE L’UNICO METODO RIGOROSAMENTE CORRETTO.
[ma a qsto proposito anche le proposizioni da 4.111 a 4.1212]

alla luce di questo non credi che forse wittgestein le questioni metafilosfiche (che peraltro hai ragione a ritenere interessanti!)le avrebbe volute dissolvere? le varebbe magari ritenute interessanti ma impensabili, on formulabili?

Lord Russell ha detto...

Premetto che non ho letto con dovizia tutti i commenti ma sembrano necessario chiarire alcuni punti che mi hanno colpito. Prima di tutto, banalmente, questa cosa di sbattere il termine “meta” ovunque capiti; cosa può voler significare il termine “metafilosofia” se non il fare filosofia sulla filosofia? Allora tanto varrebbe dire filosofia invece che sbattere continuamente “meta” qua e “meta” là. Vengo al discorso sul metodo sollevato da Dejavu: intanto la questione del metodo non è propriamente scientifica ma filosofica; non esiste nessuna materia nella facoltà scientifiche che tratti espressamente del metodo scientifico proprio perché in qualche modo lo si dà per scontato. Per certi versi si potrebbe dire che il metodo scientifico coincide con quello assiomatico; ma questo è insostenibile! Infatti il metodo assiomatico nasce per certe esigenze e non si può dire che sia il metodo assoluto della scienza. Ci sarebbe da ridire anche da chi proporrebbe una definizione sciocca come quella di “metodo sperimentale”. Se infatti il metodo delle scienze è quello sperimentale allora la matematica non è una scienza. Tutte queste questioni comunque non sono scientifiche ma filosofiche, così come è sempre stata filosofica la questione del metodo da Platone fino ai giorni nostri. Andiamo sulla questione della filosofia se “dissolve” o “risolve” i problemi. Personalmente la trovo una questione un tantino oziosa e provo a spiegare il perché: sia nel caso che la filosofia risolva o dissolva, comunque a partire da questa definizione deve rivolgersi a qualcosa. Questo qualcosa è ovviamente un certo stato di cose che sono i problemi tipici della filosofia che magari hanno subito una rivisitazione attraverso il confronto con altre discipline o con una differente situazione culturale. Risolvere o dissolvere mi sembrano più termini letterari comunque che filosofici. Volendo comunque dargli un certo credito, faccio corrispondere il primo magari alla cosiddetta pars costruens e la seconda alla pars destruens. La domanda allora diventa: quale delle due scegliere? Ovviamente la prima risposta potrebbe essere perché scegliere l’una o l’altra? Come sanno bene i medievalisti prima viene la pars destruens (la tradizione) e poi la costruens (la differenza). Questo ci riporta all’affermazione di I.I. secondo cui la filosofia coincide con la sua storia; ma una affermazione di questo tipo mi sembra parziale. Se, facendo un paragone, sarebbe sciocco negare che per la scienza fisica è fondamentale la sua storia, d’altro conto non si può nemmeno dire che la fisica coincide con la storia della filosofia. Russell, ad esempio, distingueva ne “La filosofia di Leibniz” la storia della filosofia dal fare filosofia. Anche Kant nei Prolegomeni che la cara Rubina ha citato nel suo post precedente fa questa distinzione nell’introduzione.
Veniamo poi alle affermazioni del tipo “io non sono né analitico né continentale”. Una affermazione di questo tipo si può fare ma bisogna chiarire prima cos’è la filosofia analitica, quella continentale (magari chiarendone lo sfondo comune) e infine spiegare dove si vuole andare a parare. Sennò si che la filosofia diventa un ciarlare, un continuo “dissolvere” masturbatorio!

metaclub ha detto...

Certo è chiaro che bisogna intendersi su cos'è la filosofia analitica e quella continentale; ma credo anche che le chiarificazioni metalinguistiche possono essre utili in certi contesti e meno in altri.
Quanto alla questione del risolvere o dissolvere, certamente posta nei tuoi termini è "oziosa" ; non si tratta di fornire una definizione della filosofia( e chi potrebbe darne una sola e precisa se non a costo di fare semplificazioni enormi?); semplicemente era un modo per rivolgere l'attenzione su un problema importante in ogni riflessione sulla filosofia( nessun problema a chiamarla solo filosofia e non metafilosofia anche se non ne capisco l'importanza) e cioè: che tipo di domande sono le domande filosofiche? che cosa dobbiamo fare quando ci troviamo di fronte a una questione del genere? Dici che i due termini risolvere-dissolvere sono letterari...bè dillo a tutti i filosofi che riflettono o hanno riflettuto su queste questioni( da Wittgenstein a Ryle a Rorty)!

Ad ogni modo sono sempre più dell'idea che il blog non sia un modo efficace per discutere e confrontarsi; si finisce a fare solo chiarimenti metalingustici che in una discussione a voce potrebbero essere chiariti in modo più rapido e diretto e si eviterebbero una serie di fraintendimenti e incomprensioni,,, ch poi devono essre ogni volta chiariti.. Cmq per chi ritiene il blog un buon luogo per discutere buona continuazione!

metaclub ha detto...

Per Lord Russell: come avrai visto la mia risposta è brevissima, ma penso ne parleremo meglio a voce. P.s Mi diresti dove esattamente Russell ne "la filosofia di Leibniz" Russell dice quelle cose? grazie

Lord Russell ha detto...

Non ho qui il testo, ma sono quasi sicuro che sia nelle prime pagine dell'introduzione o nel primo capitolo. La mia edizione è Longanesi