lunedì 5 novembre 2007

E la cultura da che parte sta?

Ovviamente, né a destra né a sinistra; la Cultura è qualcosa di così astratto che a pensarla con un certo colore politico addosso le si farebbe violenza. Però, è pur vero che quando pensiamo all’uomo di cultura – chiamiamolo pure intellettuale – un’idea in testa ce l’abbiamo: il nostro pensiero va dritto verso quello stereotipo dell’omino curvo dietro una montagna di libri, con gli occhiali spessi, sempre pensoso. E di sinistra.
Siamo abituati a sovrapporre l’idea di “cultura di sinistra” con quella di cultura in senso lato. È per noi difficile immaginare un intellettuale dotato di una grande carica personalistica, vitale, di tipo d’annunziano; piuttosto, ci figuriamo un misto tra Leopardi e Sartre, ovvero quella figura del pensatore chiuso nella sua erudizione, che con un fondo di snobismo guarda al mondo e pretende addirittura di poterlo cambiare. È quello stesso personaggio che fece scrivere a Prévert: “La differenza tra un intellettuale e un operaio? L’operaio si lava le mani prima di pisciare e l’intellettuale dopo”.
Eppure non ritengo che ovunque sia così, anzi, questa è una peculiarità tutta italiana e non appartiene ad altre realtà, come quella anglosassone. Una lunga e complessa serie di motivazioni storiche hanno portato un vecchio partito - il Pci - a interessarsi alle vicende culturali italiane e a costituire il fulcro centrale di gran parte dell'ambiente intellettuale italiano per un lungo periodo del Novecento. Grandi intellettuali e artisti hanno sentito la necessità di doversi confrontare e scontrare con questa ingombrante presenza, si può andare da Calvino, a Pasolini, da R. Rossanda a Sanguineti; tutti questi però non erano sottomessi a una dialettica culturale imposta da una forza politica, ma piuttosto trovavano nell'impegno di un partito la controparte a cui far riferimento. Non era cioè il Pci a dettare la linea, ma gli artisti ad andare incontro al partito.
Ciò avveniva probabilmente perché le tematiche che caratterizzavano molti di questi intellettuali erano attente ai problemi che manifestava la società dell'epoca, terreno sul quale le forze politiche di sinistra erano già attive (e non esisteva solo il Pci). Invece gli intellettuali di destra hanno sempre avuto un atteggiamento distaccato, più introspettivo, meno votato al lato “pubblico” della loro produzione, così come anche molti partiti di destra hanno sempre fatto.
Questo fenomeno ha portato a una particolare dicotomia tra società e mondo della cultura, con una evidente sproporzione tra le parti - destra e sinistra - che nei due settori erano rappresentate in modo molto diverso. Ad esempio bisognerebbe pensare a quel gran movimento culturale che si ebbe nel '68, pareva che tutta la società italiana - dall'intellettuale all'operaio - fosse pronta al cambiamento, e invece sotto quella enorme carica “rivoluzionaria” stava ben nascosta la cosiddetta “maggioranza silenziosa”, sicuramente tendente a destra, o almeno al centro, non di certo impegnata, engagée, poco visibile; però, proprio questa maggioranza poi determinava l'andamento politico italiano, nonostante l'apparenza fosse quella di una dominate cultura di sinistra.
Credo che questo sia lo strano rapporto tra cultura e politica, a destra come a sinistra, con la conseguente abitudine a immaginare il mondo culturale (italiano) come manifestazione "di sinistra" e, perciò, conformistico.
Rimane ora da ricercare la cultura di destra, perché questa mia breve scorribanda (pseudo)storica lascia spazio a un’alternativa: o la “cultura di destra” si manifesta in modo meno appariscente e sembra influenzare una porzione minoritaria del pensiero corrente, oppure la Destra non ha una vera e propria cultura e ciò che la guida è quel pensiero che si sviluppa nel vuoto lasciato da altri. Questa seconda scelta però mette in crisi una supposta simmetria tra le parti – mettendo indirettamente in difficoltà anche la Sinistra, che si troverebbe ad assumere un ruolo di egemonia che la realtà pare non assegnarle.
(Mister Orange)

8 commenti:

Leonardo ha detto...

Ho ripreso in maniera un po' più organica il commento dell'altro giorno. Mi rendo conto però che restano ancora aperte un'infinità di questioni, per questo mi piacerebbe che qualcuno raccoglesse la sfida contenuta nell'ultimo paragrafo!
Ah, mi scuso per aver scritto "engagée", non si ripeterà mai più... :-)

Leonardo ha detto...

"raccogliesse", of course

Alessandro ha detto...

Credo che un opera che dubito qualcuno di voi conosca come: Le Avventure di Giuseppe Bergman, di Milo Manara, potrebbe interessarvi.
E' un fumetto che narra, in modo a dir poco surreale, l'onirica avventura di un ragazzo di sinistra che viene scelto per seguire Hugo Pratt (padre di ogni fumetto d'avventura) in una vera AVVENTURA.
Eppure sembra succedere tutto meno che un'avventura. Bergman si perde in mille riflessioni su come il mondo (spregiudicatamente di destra per quanto riguarda il mondo occidentale nella visione dell'autore) freni ogni spirito avventuroso, eppure è un grande industriale a sponsorizzarlo, a patto di avere ogni diritto di sfruttare questa grandiosa avventura.
Come procede il fumetto ve lo lascio scoprire, la storia è stata raccolta anche nella recentissima pubblicazione che raccoglie l'intera collana delle opere di Manara, quindi è facile da reperire.
Quello che però appare chiaro è il dilemma che sembra tormentare l'autore: il fumetto d'avventura è di destra o di sinistra?
E' l'espressione di una mente creativa e rivoluzionaria o il mezzo di controllo di case editrici di destra?
Sebbene la domanda "il fumetto è davvero arte?" sia ancora irrisolta si vede come sia l'arte stessa (mi permetto di assumere che il fumetto sia arte) a chiederselo.
La risposta di Milo Manara è ovviamente una sola: ossia che la cultura di per sè è oltre certe distinzioni restrittive, sebbene lui parli sempre di avventura e non di arte.
Ma l'arte non è forse un'avventura?

Il Bozz ha detto...
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Il Bozz ha detto...

Caro Alessandro,
ma perchè non ti prepari un articolo del genere da pubblicare sulla home page??? Anche svelandoci come prosegue l'avventura, non ci facciamo problemi. Il dibattito destra/sinistra che abbiamo in mente non si deve esaurire in propaganda politica. Non è questo lo scopo per cui abbiamo deciso di intraprendere questa avventura dei cicli di incontri sul tema. Si aprono, al di là del tema strettamente politico, scenari che sembrano (ma non sono) collaterali. In realtà, per dirla terra terra, in questo caso tutto fa brodo. Anzi, articoli del genere, che prendono la questione da un punto di vista, potremmo dire, 'straniante' (usandolo nel senso nobile della letteratura) rispetto alla questione rigidamente politica, ci aiuteranno di certo a far comprendere all'ascoltatore che non vogliamo fare opera di coscrizione politica ma che, da filosofi, cerchiamo solo di dare un'ampia gamma di prospettive su un determinato problema, per un dialogo costruttivo su molti fronti. Uno di questi fronti, perchè no, emerge anche dal commento che hai scritto. Ad esempio Matteo Plebani si sta preparando un intervento sulla destra e la sinistra intese come riferimenti del proprio corpo, come ad esempio le mani. Cosa c'entra con la politica? Forse niente, forse molto. Ma al di là dell'inquadramento storico e politico "rigoroso", che senz'altro non deve mancare come struttura di base dell'incontro, io personalmente vedo di buonissima luce lo spazio all'iniziativa personale e alla fantasia tematica.
Tutto questo lungo e inutile commento, per dirti che mi è piaciuto il tuo commento, e che se volessi svilupparlo e farne un articolo più lungo che pubblicheremo, non sarebbe una cattiva idea.
Ciao!

Anonimo ha detto...

Trattandosi di un blog che, pare, abbia la pretesa di rappresentare un luogo di confronto 'filosofico', ritengo che non si dovrebbero consentire spiragli di ambiguità terminologiche, o quel che è peggio, lasciar i termini buttati là senza darne ragione.
Cosa vuol dire''la Cultura è qualcosa di così astratto''?
cosa intendi esattamente per cultura?
E, in ogni caso, mi domando perchè mai essa dovrebbe essere qualcosa di astratto.
Credo che sia proprio a causa di questa visione della cultura ( e di chi la porta avanti) come un 'sofisticato spirito invisibile', così come amava definirla Pasolini, che le università -in particolare a indirizzo umanistico- languiscano in una imbarazzante palude di idee stantie e riciclate, ormai stravecchie come solo un buon formaggio stagionato sa essere. Ma le idee -a differenza del formaggio- non traggono alcun vantaggio dalla stagionatura, anzi è per loro letale.
e poi, non sono affatto d'accordo con questa tua definizione dell'intellettuale italiano, leopardianamente ingobbito e cieco su libri impolverati. Io credo invece che l'intellettuale italiano abbia una buona tradizione che lo vede impegnato e spesso fuori dalle grigie stanze delle nostre accademie.
infine, credo che questa brutta abitudine (e questa sì che è tutta medietà italiana)di puntare lo sguardo estasiato sugli altri paesi europei, disprezzando o snobbando la nostra tradizione, sia da considerarsi un'attitudine ormai provincialotta e per nulla à là page.
Chi ha detto che la cultura è o dovrebbe, in una sua accezione più giusta, essere politicamente illibata, pena il suo statuto corretto?
Abbiamo esempi meravigliosi che ci testimoniano che quando la cultura si colora di politica, possono aversi eccellenti e autorevoli figure.


Saluti,



Miss Carnap.

Leonardo ha detto...

Belle le tue considerazioni, però mi sento di precisare tre cose – nulla più.
La “cultura è qualcosa di così astratto” perché l’ho scritta (solo una volta!) con la “C” maiuscola, a intendere che essa dovrebbe comprendere quello sterminato mondo di produzioni artistiche, intellettuali, politiche, che determinano il nostro modo di "vedere" il mondo. Per questo motivo non ho più usato la maiuscola, ma invece ho cercato di parlare della più abbordabile “cultura”.
Non ho detto che l’intellettuale “modello Giacomino” sia astratto dal mondo, anzi ho precisato che spesso è stato impegnato a sinistra. Mi chiedevo soltanto se ci fosse un diretto rapporto tra la società e il mondo intellettuale; sarebbe infatti difficile dire se negli anni Sessanta abbiano avuto più influenza sui giovani il grande Pasolini o gli altrettanto grandi Beatles…
(E poi, mi domando anche da che parte stia la “cultura di destra”).
Per ultimo, vorrei precisare che non sono animato da alcuna esterofilia, ho solo specificato che non avrei potuto scrivere dei massimi sistemi, perché un discorso sulla “cultura” può essere fatto in un ristretto ambito temporale e spaziale, quindi non ho voluto trattare di altre realtà – come quella anglosassone – che mi sembrano essere molto diverse dalla nostra.
E comunque devo concordare che se la cultura fosse “politicamente illibata” sarebbe una noia mortale…

Anonimo ha detto...

Adesso che hai 'aggiustato il tiro' credo di aver capito un pò meglio il tuo discorso, anche se continuo a trovare piuttosto vaga la tua definizione di cultura (e questo, naturalmente, pregiudica il senso complessivo della questione che poni).
Il rapporto tra politica e mondo intellettuale è una questione intrigante, ma credo che spesso il mondo intellettuale, ahinoi, sia popolato in buona parte da lacchè e leccascarpe parte che cercano, seppure in differenti modalità, di accaparrarsi un ruolo (anche miserrimo) nell'èlite accademica che, ormai, rasenta il preistorico se consideriamo l'età media dei 'capoccioni'. Il mondo degli intellettuali esiste ancora? Credo che questa domanda sia più opportuna (proprio perchè, se non esiste un mondo intellettuale, non si può neppure rapportarlo a qualcosa) e, forse anche più drammaticamente agghiacciante, di quella intorno alla relazione intelighenzia-politica.
Per quanto riguarda la realtà culturale anglosassone, credo sia assolutamente non perinente un confronto con la nostra: infatti, il rinascimento -periodo che a mio avviso ha segnato per sempre l'orientamento italiano in ambito intellettuale- ha generato un tipo di intellettuale completamente sui generis rispetto a quello delle altre realtà europee, una figura molto complessa in cui si intrecciano varie istanze, non ultimo il cosidetto 'senso del bello', inclinazione che caratterizza la nostra immagine di intellettuale nel mondo da tempi immemori(non ultimo Immanuel Kant che nelle sue Lezioni di Antropologia pragmatica traccia la figura dell'italiano colto del suo tempo sottolineando ne la forte inclinazione in ambito artistico ed estetico). L'intellettuale anglosassone è decisamente estraneo ai parametri dell'intelletto 'italico'.
Il discorso è molto bello e ci si dilungherebbe oltre misura... ma come dici tu giustamente i limiti richiamano alla sintesi:non per questo però dobbiamo rinunciare al rigore argomentativo che, da Socrate alla tradizione analitica, è l'indizio della buona filosofia.
Spero di aver chiarito il mio punto di vista!

un saluto

M.C.